Con la recente ordinanza n. 981/21 dello scorso 14 aprile la Cassazione ha posto nuovamente al centro dell’attenzione il tema della nullità della consulenza tecnica, in questo caso su una CTU avente ad oggetto materia grafologica di cui si eccepiva l’ampliamento illegittimo del suo campo di indagine peritale. I giudici supremi in ragione dell’emersione di un contrato giurisprudenziali avente un’incidenza decisiva in tale giudizio hanno deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite Civili. Giova osservare che la consulenza può essere affetta da vizi che nei casi più gravi ne possono determinare la nullità. Per tale mezzo istrtuttorio non esistono disposizioni speciali in tema di nullità, quindi si applicano le regole generali, desumibili dall’art. 156 c.p.c., dove al comma 1 hanno rilievo i c.d. vizi formali, ossia quei vizi che consistono nella mancata osservanza dei requisiti formali degli atti processuali, al comma 2 il c.d. principio della inidoneità allo scopo, nel caso in cui l’atto, in astratto, non si presenti idoneo a conseguire la funzione per cui è stato previsto dalla legge. Il comma 3 consacra il principio della c.d. strumentalità delle forme, in base al quale se lo scopo dell’atto è in concreto raggiunto, la nullità non può essere dichiarata. A norma dell’art.157 c.p.c. le nullità possono essere assolute o relative; nel caso della consulenza la nullità tipica è quella relativa restando sanata ove non venga eccepita nella prima difesa successiva al deposito della relazione. Sui motivi di nullità della consulenza possono distinguersi motivi formali e sostanziali. In questi ultimi troviamo il mancato coinvolgimento delle parti nelle operazioni di consulenza (Cass. n.26304/20), la carenza dell’elaborato sotto il profilo del contenuto tecnico – scientifico, le diverse fattispecie di violazione in concreto del contraddittorio (Cass.n, n.30473/18), l’acquisizione ed utilizzazione di documenti prodotti irritualmente nel giudizio (Cass., n. 27778/19), il CTU colpito, nelle more dell’incarico, da sanzione disciplinare di cancellazione dall’albo dei consulenti tecnici ovvero di sospensione, l’omesso invio della bozza della relazione alle parti (Cass. n. 29690/18), l’espletamento di indagini esorbitanti dai quesiti posti dal giudice, ovvero non consentite dai poteri che la legge conferisce al CTU (Cass., n.31886/19), quest’ultimo punto proprio oggetto della recente ordinanza. Su tale aspetto giova osservare che secondo l’orientamento tradizionale tutte le ipotesi di nullità della consulenza tecnica, ivi ricompresa quella ricorrente nella specie dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, nonché quella dell’avere tenuto indebitamente conto di documenti non ritualmente prodotti in causa, hanno sempre carattere relativo, e devono essere fatte valere nella prima difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate (Cass. n. 2251/2013; Cass., n. 15747/2018).
Secondo altro più recente indirizzo invece in tema di consulenza tecnica di ufficio, lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al thema decidendum della controversia o l’acquisizione ad opera dell’ausiliare di elementi di prova, in violazione del principio dispositivo, determina la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come “nullità a carattere assoluto”, rilevabile d’ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili neanchè dalle parti.
Ed invero, secondo la pronuncia in esame, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati da queste ultime, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. Alla regola sopra enunciata può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova, necessitando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure laddove la consulenza sia atta a provare fatti tecnici accessori e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già allegate dalle parti» e che se la violazione delle preclusioni assertive ed istruttorie non è sanata dall’acquiescenza delle parti, ed è rilevabile d’ufficio, non è possibile sostenere che tali violazioni nuocciano all’interesse generale, e siano causa di nullità assoluta, se commesse dalle parti; ledono invece un interesse particolare, e sono causa d’una mera “nullità relativa”, se commesse dal CTU» (Cass. n. 31886/2019, Cass.n.15774/18). In ultimo giova osservare che responsabile dell’annullamento è esclusivamente il giudice che ha provveduto all’affidamento dell’incarico al consulente ovvero il magistrato che lo abbia sostituito e la nullità determina la rinnovazione di essa con eventuale sostituzione del consulente.