Dipende.   Infatti ciò è possibile ma solo nel caso  in cui l’incarico riguardi l’esame di documenti contabili e registri (Art.198 c.p.c.) ovvero nell’incarico svolto nell’ambito della procedura consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite (art.696 – bis c.p.c.)

In tali ipotesi le parti unitamente ai difensori sottoscrivono congiuntamente al consulente tecnico la conciliazione che viene inserita nel fascicolo di ufficio. Il G.I. attribuisce, con decreto, efficacia di titolo esecutivo al processo verbale.

Per il consulente l’eventuale chiamata successiva al deposito della relazione peritale deve essere valutate nell’indirizzo di comprendere se trattasi di semplice richiesta di precisazione relativa alla risposta al quesito — ed in tal caso si parla di chiarimenti — o se invece la richiesta riguardi aspetti nuovi e diversi dall’oggetto dell’originario incarico — per cui si parlerà di supplemento.

Se si tratta di chiarire, attraverso approfondimenti, precisazioni, delucidazioni di circostanze, fatti e condizioni già trattati nell’elaborato peritale depositato e non implicanti l’acquisizione di nuovi dati o elementi di valutazione, l’esperto del giudice non dovrà dare comunicazione della sue attività .

Nella ipotesi, invece, che al consulente siano chieste l’analisi e l’accertamento di nuovi e diversi fatti implicanti ulteriori studi, analisi e valutazioni, questi deve dare avviso alle parti delle proprie attività nelle forma previste dalla norma.

La sostituzione del consulente ricorre, invece, al verificarsi di gravi e oggettivi motivi, quali:

  • la negligenza, l’imperizia e le circostanze che avrebbero giustificato la ricusazione;
  • il mancato rispetto del termine di deposito assegnato dal giudice;
  • la sopravvenuta impossibilità di adempiere l’incarico
  • il sopravvenuto motivo di ricusazione o la conoscenza di essi dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 192 c.p.c.;
  •  la oggettiva incapacità di svolgere l’incarico;
  • l’approssimazione, la superficialità e la trascuratezza delle attività svolte e dei risultati ottenuti.

L’autonomia di peritus peritorum del giudice, consente di poter aderire o meno alle conclusioni della relazione peritale dell’ausiliario da lui nominato.

Non è escluso, invero, che  per giungere alle conclusioni del proprio lavoro il magistrato possa far uso delle proprie cognizione e conoscenze tecniche. Difatti il giudice di merito ha la facoltà, non l’obbligo, di ricorrere al parere di un consulente, ben potendo avvalersi delle proprie conoscenze tecniche e dell’esperienza personale. (Cass. 15/7/1963 n. 1922).

La consulenza offre al giudice la possibilità di ricevere cognizioni in materia tecnica di cui il magistrato non abbia particolare conoscenza, senza, però, escludere che egli possa prescindere da tale ausilio, procurandosi altrimenti le cognizioni necessarie; ciò risulta dallo stesso articolo 61 c.p.c., che lascia al prudente avviso del giudice la decisione sulla necessità di disporre una consulenza tecnica, in relazione alle prove già raccolte.

La consulenza tecnica di ufficio non rientra tra i mezzi di prova. Essa, secondo l’orientamento dominante, è un mezzo istruttorio, che svolge una duplice funzione:

  • Integra le cognizioni tecniche del giudice, di cui questi non dispone;
  • Consente di acquisire fatti rilevanti in tutti i casi in cui tale acquisizione si presenti difficoltosa per la complessità della ricerca, dell’esame o di ogni altra attività.

Nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto  la valutazione di fatti, i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti (consulente deducente);

Nel secondo caso, la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova (cioè un vero e proprio mezzo di prova, senza che questo significhi che le parti possano sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente; in questo secondo caso, è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto (onere di allegazione dei fatti costitutivi del diritto) e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche, che egli non possiede o, comunque, che la prova del fatto, costitutivo della pretesa, sia impossibile od estremamente difficile (consulente percipente).

Le cause di nullità della consulenza possono individuarsi in formali e sostanziali Tra le prime possono riconoscersi:

  • elaborato non sottoscritto dal C.T.U.;
  • elaborato sottoscritto da C.T.U. diverso;
  • elaborato non redatto in lingua italiana;

Ma fondamentalmente i motivi si fondano sulla violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla difesa ed in particolare:

  •  mancata comunicazione di inizio delle operazioni peritali;
  • mancata comunicazione di ripresa delle operazioni peritali ove necessario;
  • mancata partecipazioni delle parti alle operazioni peritali;
  • partecipazione alle operazioni peritali di CTP irregolarmente nominato;
  • partecipazioni di persone non autorizzate alle operazioni peritali;
  • dall’acquisizione ed utilizzazione di documenti prodotti irritualmente.

Poichè il Consulente Tecnico ha il compito di fornire al giudice i chiarimenti necessari che questo ritenga opportuno chiedergli, la sua attività di assistenza è circoscritta alle sole questioni la cui soluzione richieda particolari conoscenze tecniche ma non può estendersi fino alla interpretazione e valutazione di prove documentali, allo scopo di esprimere un giudizio che è riservato al giudizio, circa l’esistenza di obbligazioni, a carico di una delle parti in causa, e la colpevolezza o meno dell’inadempimento di una di esse.

In questo caso il C.T.U. ovvero le parti ai sensi dell’art.92 disp. att. c.p.c. deve informare tempestivamente il giudice, il quale sentite le parti dispone gli opportuni provvedimenti.

No. Il termine stabilito per il deposito della relazione del Consulente Tecnico d’Ufficio è ordinatorio e non perentorio, ed è inoltre discrezionalmente prorogabile dal giudice, onde il tardivo deposito di essa non ne determina la nullità.

No. I termini disposti dal giudice per soddisfare le previsioni dell’art.195 c.p.c. sono termini ordinatori e non perentori e pertanto inidonei a produrre effetti di nullità

Si. La nullità della consulenza tecnica d’ufficio, compresa quella derivante dall’avere il consulente indebitamente tenuto di conto di documenti non regolarmente prodotti in causa, ha carattere relativo: essa è perciò sanata se non sia stata valere nella prima difesa o istanza successiva al deposito della relazione.

No. Il Consulente non è tenuto a riportare nelle conclusioni della relazione i risultati di tutte le indagini, dovendo valutarsi la legittimità e concludenza dell’elaborato nella sua globalità e non essendo, in ogni caso, necessario che nelle conclusioni siano menzionati elementi privi di rilevanza non accertati nel corso delle operazioni peritali.

Non è consigliabile che il processo verbale diventi una vera e propria “perizia” con commenti, analisi degli accertamenti, scambi di osservazioni articolate, e magari risposte, seppur sintetiche, in ordine ai quesiti posti: non sarebbe funzionale al compimento corretto dell’incarico.

Un verbale “tipo” dovrebbe contenere

  • ora, data e luogo dello svolgimento delle operazioni;
  • soggetti presenti;
  • eventuale autorizzazione ricevuta per l’accesso ai luoghi
  • attività compiute;
  • risultanze delle stesse;
  • documenti acquisiti e/o consegnati dalle parti;
  • osservazioni ed istanze delle parti;
  • fissare termine alle parti per produzioni eventuali memorie;
  • fissazione del proseguimento delle operazioni.

No. Il C.T.U. conclusi gli accertamenti non è tenuto a redigere il processo verbale (Art.195 c.p.c.); tuttavia è di uso comune e di buona norma procedere alla compilazione di verbale delle operazioni nel quale si indicano le persone partecipanti, le modalità degli accertamenti, gli elementi raccolti e più significativi rilevati nonchè le osservazioni , le istanze delle parti e l’elenco della documentazione eventualmente ricevuta.

Si. Lo svolgimento dell’incarico da parte di un esperto, del quale il consulente tecnico d’ufficio si avvalga per compiere specifiche indagini in relazione alla sua specializzazione, deve avvenire nel rispetto delle regole del contraddittorio e sotto il controllo delle parti tempestivamente avvertite e poste in grado di muovere le loro osservazioni, con la conseguenza del rispetto di tali regole qualora il consulente tecnico di parte, ancorchè non avvertito, sia posto in grado di controllare le indagini specialistiche espletate dall’esperto e di esprimere le proprie osservazioni al CTU

Certamente se con essi di intendono i praticanti, tirocinanti e aiutanti che svolgono funzione di ausilio materiale nelle operazioni, come ad esempio  la collaborazione nel corso di un rilievo metrico ovvero topografico.

Questi sono da intendersi parte integrante della organizzazione professionale  che deve mettere a disposizione il consulente per l’espletamento delle sue funzioni e fanno completamente riferimento nel compimento delle loro operazioni alle indicazioni e limitazioni impartite da quest’ultimo e pertanto non richiedono di una preventiva autorizzazione del magistrato né rientrano tra quei soggetti ai quali devesi rilasciare una specifica concessione per la loro presenza nel corso delle operazioni peritali.

 Nella ipotesi di ispezioni da svolgere in proprietà di terzi, occorre  dotarsi, a norma dell’art.118 c.p.c. 1°co. dell’autorizzazione del magistrato. Fattispecie di queste situazioni, tutt’altro che rare possono individuarsi a titolo esemplificativo nella necessità di dover accedere al terreno di un terzo per svolgere rilievi e/o misurazioni oppure nel caso di colui che, promosso un procedimento nei confronti del costruttore per vizi e difetti al fabbricato abitativo da lui acquistato, nel corso del procedimento giudiziario, alieni a terzi lo stesso immobile, determinando così la necessità per il consulente tecnico nominato di doversi rivolgere a quel terzo per svolgere le opportune indagini

Questa ultima fattispecie è tutt’altro che rara, in particolar modo per la lunga durata dei processi civili nel nostro paese . E da segnalare con evidenza che con la riforma del processo civile (l. n°69/2009) è stata elevata la sanzione pecuniaria prevista al 4° co, nei casi di rifiuto del terzo, che attualmente è prevista dal euro 250 a euro 1.500.

Per i consulenti tecnici la partecipazione alle operazioni peritali è consentita solo a coloro che sono stati ritualmente nominati. Invero, ai sensi del primo comma dell’art. 201 c.p.c. “Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico.” (…) ; la nomina, quindi, va fatta con deposito di atto in cancelleria, diversamente, sarà viziata da irregolarità. L’art. 91 disp. att. c.p.c., al secondo comma, prevede, infatti, che “Il cancelliere deve dare comunicazione al consulente tecnico di parte, regolarmente nominato, delle indagini predisposte dal consulente d’ufficio, perchè vi possa assistere a norma degli articoli 194 e 201 del Codice.

L’eventuale violazione dell’importante istituto implica possibili effetti di nullità relativa della consulenza.Le cause di nullità sostanziale della relazione, che pure possono assumere forme diverse, si riducono tutte a un unico fenotipo generale: la violazione del principio del contraddittorio (così Cass., sez. II, 20 dicembre 1994 n. 10971; Cass., sez. II, 9 febbraio 1995, n. 1457; Cass., sez. lav., 7 luglio 2001, n. 9231).

Violazione che, tuttavia, deve essere accertata in concreto (Cass., sez. lav., 5 aprile 2001, n. 5093). La nullità, ovviamente, può essere anche parziale, cioè travolgere soltanto quella parte della relazione che si fondi su accertamenti nulli.

Le più frequenti cause di nullità, in tutto o in parte, della relazione peritale sono rappresentate:

  • dall’omesso invito alle parti dell’avviso contenente la data e il luogo di inizio delle operazioni (Cass., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15133);
  • dalla valutazione, per rispondere ai quesiti, di documenti non ritualmente prodotti in causa (Cass., sez. lav., 19 agosto 2002 n. 12231);
  • dall’espletamento di indagini e, in generale, di compiti esorbitanti dai quesiti posti dal giudice, ovvero non consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente (Cass., sez. II, 26 ottobre 1995, n. 1113; Cass., sez. lav., 29 maggio 1998, n. 5345; Cass., sez. III, 10 maggio 2001, n. 6502).

Il principio del contraddittorio è espressione del diritto alla difesa, previsto dall’art. 24 Cost., che per essere esercitato richiede la presenza effettiva delle parti nel processo; l’art. 1112 Cost. prevede, infatti, che il processo si svolga nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità davanti al giudice terzo imparziale.

Nel processo civile è espressamente stabilito che il convenuto debba essere regolarmente citato (art. 101 c.p.c.) proprio perché è colui che, secondo quanto si chiede nella domanda, dovrebbe subire gli effetti negativi dell’eventuale accoglimento della domanda stessa e, per il principio della parità delle parti, deve essere messo in condizione di contrastare la richiesta rivolta al giudice contro di lui, eventualmente con la proposizione di una contro domanda.

Esso prima che sull’ausiliario giudiziario incombe sul giudice. Infatti l’art.101 del codice di procedura civile  recita che ” Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.”

No. L’eventuale mancata firma del verbale dal parte dell’esperto, costituendo una mera irregolarità, non comporta alcun effetto sulla attività che il consulente tecnico andrà a compiere

Si. Non è infatti sufficiente genericamente l’atto di nomina ed il verbale di udienza. L’autorizzazione che concede il giudice istruttore non è una mera formalità ma un concreto atto autorizzativo la cui valenza si sostanzia in particolare quando vi sia necessità di accedere ad atti protetti dai vincoli imposti dalla legge sulla c.d. privacy.

Basti pensare, al riguardo, alla richiesta di copia conforme delle planimetrie catastali di un immobile il cui rilascio è vincolato alla richiesta del professionista unitamente alla delega del proprietario o avente titolo idoneo.

Tra questi, in particolare per l’attività dei professionisti tecnici, possiamo riconoscere gli uffici dell’agenzia del territorio, l’agenzia delle entrate, i diversi settori di enti locali quali comuni, province e regioni ed ancora enti del ministero della difesa, del demanio, comunità montane, gli archivi notarili e quanto altro.

Quindi, nella specie, il consulente tecnico di ufficio deve allegare alla richiesta presentata all’ufficio oltre all’ordinanza di nomina relativa al procedimento in questione, copia del verbale di udienza con emarginata la detta autorizzazione.

Certamente. Nella ipotesi che il consulente, nel corso dello studio degli atti che segue la partecipazione all’udienza si renda conto che il quesito non risulti coerente alle richieste formulate dalle parti ovvero parziale, omnicomprensivo o comunque soggetto ad interpretazione, ai sensi dell’art.92 disp. att. c.p.c. è tenuto a fare presente ciò al giudice mediante una specifica istanza chiedendo disposizioni in merito

Si. La novità, senza dubbio di rilievo, introdotta dalla riforma prevede l’anticipazione già nell’ordinanza di nomina del consulente della formulazione dei quesiti che saranno formalizzati nella udienza di conferimento d’incarico. L’ausiliario pertanto all’atto della notifica del provvedimento non solo potrà assumere cognizione di essere stato prescelto dal magistrato ma anche quali sono le finalità e le richieste poste a fondamento dell’incarico che andrà ad assumere.

La disposizione è volta a favorire un più rapido svolgimento della udienza di affidamento dell’incarico ed evitare le frequenti contrapposizioni a cui si assisteva tra i difensori delle parti all’atto dell’assegnazione del quesito. Ciò tuttavia – è da rilevare – non toglie la possibilità sia per le parti che per il consulente di interloquire con il giudice qualora la richiesta non colga in pieno le finalità alla cui base vi è il ricorso all’opera del consulente ovvero ove il quesito non sia caratterizzato dalla necessaria concretezza per produrre un risultato convincente ed esaustivo.

Certamente. Il consulente designato può presentare istanza motivando quali sono le motivazioni che si rendono incompatibili con l’impegno. Resta naturalmente rimessa al giudice ogni valutazione di merito.

No. Qualora venga nominato C.T.U. un pubblico dipendente, la circostanza che questi abbia accettato ed espletato l’incarico, senza munirsi della preventiva autorizzazione eventualmente richiesta in relazione alla suddetta qualità non spiega effetti invalidanti sulla consulenza ma può rilevare solo nell’ambito del rapporto di lavoro.
Il caso non è frequente, ma solo perché in molti casi una parte in lite rinuncia liberamente a tentare di esercitare l’accesso alle proprietà della controparte. Laddove questo avvenisse  vi sono due diverse ipotesi.
La prima è rappresentata dalla circostanza che la parte che intende esercitare l’accesso non è assistita da alcun consulente tecnico di parte e in carenza – nella situazione – della presenza del legale, ma, come in molti casi accade, intende svolgere in proprio il diritto di difesa nell’ambito dell’incarico del consulente. Allora è evidente che non consentire a questa di partecipare alle attività da svolgersi nella proprietà della controparte  equivale a comprometterne il diritto di difesa.
La seconda è invece rappresentata dalla condizione ove la parte sia assistita dal proprio consulente tecnico ritualmente nominato. In tal caso la mancata presenza della parte agli accertamenti tecnici non costituisce alcuna violazione al contraddittorio e diritto alla difesa ben potendo questa svolgere qualsiasi attività in tale senso con la partecipazione del consulente tecnico nominato per lo scopo. Stesso discorso valga se invece del consulente tecnico è presente il difensore. Sul punto vi è tuttavia da osservare che se la presenza della parte non si esaurisce meramente nella presenza di soggetto in causa ma anche in quello di specialista esperto  associandosi quindi anche nella figura del consulente tecnico di parte – casi analoghi sono accaduti ove la parte in causa era esperto nella materia della controversia potendosi quindi rappresentare, nel ruolo del consulente tecnico di parte, in proprio, – il consulente di ufficio non può restare inerte al rifiuto di far accedere costui alla proprietà della parte avversa, ma anche in questo caso deve necessariamente interrompere le operazioni agendo come già detto con una istanza rivolta al giudice.
Si è vero. La norma prevede che l’obbligo della comunicazione ricorra solo per l’inizio delle operazioni, incombendo sulla parte la responsabilità di farsi attiva nel seguire i lavori del consulente tecnico di ufficio e quindi essere diligente nell’informarsi sulle modalità e sui tempi di svolgimento degli stessi.
Ciò tuttavia deve trovare pratica distinzione nei casi concreti.
Infatti non si deve comunicare la ripresa delle operazioni quando:
  • all’esito al primo incontro, il C.T.U. abbia fissato la data ed il luogo di rinvio alla quale aggiorna la ripresa delle operazioni peritali.


Si deve, invece, comunicare la ripresa delle operazioni peritali all’orquando:

  • il consulente non abbia indicato la data ed il luogo di ripresa delle operazioni alla conclusione del primo incontro;
  • egli, supponendo di avere concluso le proprie attività, le riapra dando continuazione alle attività;
  • le operazioni siano riprese a seguito di una sospensione;
  • al primo incontro non sia intervenuto nessuno;

Nella comunicazione debbono essere indicati l’ora, la data ed il luogo di svolgimento delle attività.
L’avviso deve essere comunicato ai difensori delle parti costituite ed ai consulenti tecnici di parte qualora nominati, restando inteso che ove si ritenga necessario od occorra per la particolare natura delle operazioni avvertire anche le parti, lo si può fare, pur sapendo che questo non forma natura obbligatoria.
La comunicazione invece non deve essere inviata alla parte contumace semprechè questa, evidentemente, non risulti necessaria per l’espletamento delle attività peritali – come ad esempio nel caso in cui sia necessario accedere alla proprietà di questa.
E’ bene precisare che la comunicazione inviata alla sola parte non assolve il consulente dalla eventualità eccezione di nullità della consulenza poiché la parte (in senso sostanziale) non è in possesso delle necessarie ed adeguate cognizioni tecniche per valutare il significato e la rilevanza della consulenza tecnica, cosicché è il difensore – ossia colui che è stato delegato a rappresentare la parte nel giudizio – che deve essere posto in grado di esercitare il diritto di difesa.

Da un punto di vista ristuale la risposta è affermativa. Infatti il codice di procedura civile prevede che il consulente di ufficio  debba comunicare l’ora, la data ed il luogo d’inizio delle operazioni peritali  in conformità all’art.90 disp. att. c.p.c.  ovvero  “…con biglietto a mezzo del cancellerie.”
Ora, con ogni evidenza, ciò risulta di difficile immaginazione nello stato attuale in cui versa la maggior parte degli uffici giudiziari.
Infatti ciò rappresenterebbe un formalismo cieco ed  inutile nel momento in cui è oramai consolidata prassi presso tutti gli uffici giudiziari delegare la comunicazione d’inizio alle attività al C.T.U. attraverso lettera raccomandata od altri mezzi idonei quale ad esempio il proprio telefax con ricevuta di ricezione. Invero la comunicazione – comunque irrituale – non sortisce alcun effetto sulla validità della consulenza nel momento in cui, concretamente, sia stato garantito il rispetto del contraddittorio e del diritto alla difesa delle parti  .
Pertanto – per assurdo – per rendere efficace la comunicazione, potrebbe essere sufficiente una semplice telefonata od un messaggio sms quando le parti ed i loro rappresentanti poi partecipino alle attività d’inizio lavori peritali  .
L’importanza della lettera raccomandata od anche del comunicato telefax con documento di ricevuta invece risiede nella necessità per il consulente tecnico di ufficio di costituirsi la prova dell’avvenuta comunicazione (e quindi del ricevimento della stessa) da esibire nel momento in cui fosse eccepita la irritualità della comunicazione da lui fatta.

Il codice di procedura civile prevede che il consulente di ufficio  debba comunicare l’ora, la data ed il luogo d’inizio delle operazioni peritali  in conformità all’art.90 disp. att. c.p.c.  ovvero  “…con biglietto a mezzo del cancellerie.” Ciò significa che ogni consulente di ufficio che si sia riservato in udienza di comunicare l’inizio delle operazioni peritali dove, secondo la norma, predisporre comunicazione scritta da depositare in cancelleria la quale, a sua volta, deve provvedere a darne comunicazione alle parti.

Il giudice nel processo di cognizione non ha potere per ordinare l’accesso coatto del proprio consulente nella proprietà di colui che si rifiuti di consentire tale accesso.
Le possibilità possono essere diverse.
Vi sono circostanze, nel caso che i luoghi e gli accertamenti richiesti lo consentano, ove si richiede all’esperto di svolgere accertamenti dall’esterno della proprietà rimettendo ad una valutazione documentale il resto delle operazioni.
Più frequentemente invece il giudice fissa una apposita udienza di convocazione della parte per capire i motivi di detto comportamento ed ammonirla sulle relative responsabilità derivanti da tale condotta.
Ma più semplicemente esiste un mezzo (diabolico, per la parte) nel potere del giudice, ed è quello che forse si configura quale elemento di maggior deterrenza per coloro che mettono in atto comportamenti ostruzionistici nei confronti delle attività peritali. Lo strumento è definito dall’art.116 c.p.c.
Questo permette di valutare il comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti come risultanze processuali già acquisite e pertanto il rifiuto di far esercitare le attività all’ausiliario del giudice mediante l’impedimento del necessario accesso ai luoghi configura un comportamento di mancata volontà a consentire l’accertamento della verità che rafforza nel giudice la convinzione tratta da altri elementi acquisiti nel processo.
Nella maggior parte dei casi della specie, quindi, il giudice assumerà, in carenza di dati del consulente relativamente agli accertamenti richiesti, quanto sostenuto dalla controparte, delineando perciò la peggior situazione processuale per colui che ha messo in atto tale condotta.

Si. La nullità della consulenza tecnica d’ufficio, compresa quella derivante dall’avere il consulente indebitamente tenuto di conto di documenti non regolarmente prodotti in causa, ha carattere relativo: essa è perciò sanata se non sia stata valere nella prima difesa o istanza successiva al deposito della relazione.

La circostanza è quella cha accade spesso, purtroppo, e dipende principalmente dalla situazione di estrema avversarialità e conflitto in cui lo sviluppo delle cause giudiziarie trascina i rapporti tra le parti.
Pur potendo – nel caso in esame – l’esperto ben svolgere le proprie operazioni, si vede costretto a non darne attuazione poiché in assenza del consulente di una parte violerebbe, nel concreto, il contraddittorio ed il diritto della difesa della di quella parte che ha inteso, proprio con quella nomina, manifestare il proprio interesse a seguire le attività del consulente di ufficio e quindi, in concreto, a fare esercizio del proprio diritto di difesa. Pertanto deve comportarsi analogamente alla situazione nella quale sia impedimento a lui l’accesso ossia sospendere le operazioni peritali ed informare con apposita istanza il magistrato .

Il Codice di procedura civile al secondo comma dell’art.194 stabilisce che “ Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e difensori , e possono presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze”; da ciò ne consegue che il consulente è autorizzato a far partecipare alle propri attività:
Le parti;
I difensori;
I consulenti tecnici ritualmente nominati
Le parti
Occorre precisare che le operazioni peritali non sono attività di natura pubblica e la partecipazione è ristretta a coloro che sono interessati dalla vicenda giudiziaria oppure nominati dalle parti a svolgere attività di difesa legale e tecnica.

La comunicazione delle operazioni peritali è un aspetto rilevante delle attività del consulente tecnico di ufficio poiché è condizionato dalle regole processuali che incombono sul giudice e quindi – in pratica conseguenza – sull’esperto che di esso è ausiliario. Nella comunicazione infatti, come peraltro per gli altri momenti dello svolgimento della consulenza, si deve dare rispetto agli istituti del principio del contraddittorio e diritto alla difesa che presuppongono che le parti debbano essere sempre messe in condizioni di poter esercitare il proprio ufficio di difesa. ha due possibilità per comunicare l’inizio delle proprie operazioni peritali.
Il primo – e senza dubbio preferibile – è rappresentato dalla comunicazione in sede di udienza di conferimento d’incarico. Il consulente incaricato deve indicare a verbale l’ora, la data ed i luogo nei quali darà inizio alle attività. La trascrizione a processo verbale forma comunicazione rituale e pertanto da quale momento sarà compito dei legali dare avviso alle parti ed eventualmente ai consulenti di parte qualora siano nominati.
La seconda – che seppur da sconsigliare può risultare inevitabile in talune circostanze d’incarico – di dare in proprio comunicazione successiva all’udienza di conferimento d’incarico, deve provvedervi in proprio. Il codice di procedura civile prevede che il consulente di ufficio debba comunicare l’ora, la data ed il luogo d’inizio delle operazioni peritali in conformità all’art.90 disp. att. c.p.c. ovvero “…con biglietto a mezzo del cancellerie.” Ciò significa che ogni consulente di ufficio che si sia riservato in udienza di comunicare l’inizio delle operazioni peritali dove, secondo la norma, predisporre comunicazione scritta da depositare in cancelleria la quale, a sua volta, deve provvedere a darne comunicazione alle parti. Tuttavia è oramai consolidata prassi presso tutti gli uffici giudiziari delegare la comunicazione d’inizio alle attività al C.T.U. attraverso lettera raccomandata od altri mezzi idonei quale ad esempio il telefax. Invero la comunicazione – comunque irrituale – non sortisce alcun effetto sulla validità della consulenza nel momento in cui, concretamente, sia stato garantito il rispetto del contraddittorio e del diritto alla difesa delle parti. E’ importante garantirsi la prova dell’avvenuta comunicazione mediante forma rituale (lettera raccomandata, telefax o PEC).

Le modalità di nomina del consulente tecnico di parte rivestono una particolare importanza anche per l’esperto in quanto ne possono condizionare l’efficacia delle attività e del conseguente elaborato peritale.
Le forme di nomina sono due. La prima è quella operata in sede di udienza di conferimento d’incarico al C.T.U. con l’indicazione delle generalità e del recapito del consulente di parte. L’altra è quella di farlo in momento successivo. II giudice autorizza ciò ponendo, solitamente, come termine ultimo la data fissata dall’esperto per l’inizio delle operazioni peritali. In questo caso prevedendo l’art.201 “…la nomina ricevuta dal cancelliere…”, il difensore deve provvedere al deposito di una specifica comunicazione di nomina del consulente tecnico di parte da depositarsi in cancelleria prima della scadenza del termine fissato dal giudice.

La scelta del consulente – in conformità all’art.61 c.p.c. – deve essere fatta dal giudice “normalmente” tra gli iscritti negli elenchi degli esperti anche se la norma riconosce piena autonomia del giudice a poter scegliere un consulente anche tra gli iscritti di elenchi di altri tribunali ovvero tra i non iscritti in detti elenchi. In questi casi non vi è nullità della consulenza, essendoci prevalenza nel riconoscere al giudice la facoltà di scegliere il consulente quale soggetto esperto nella particolare materia anche se deve essere accompagnata da un preventivo parere al presidente del tribunale con relativa motivazione della scelta. L’assenza di detto parere tuttavia non invalida la nomina.
Possono ottenere l’iscrizione all’Albo tutti coloro che posseggono competenza tecnica in particolari materie, hanno una specchiata condotta morale e sono iscritti nei rispettivi ordini professionali. Per le categorie che non hanno ordini o collegi professionali l’iscrizione che deve essere garantita è quella all’elenco degli esperti delle Camere di Commercio.

La competenza tecnica: è una speciale competenza tecnica che deve, non solo, essere spiegata dal titolo di studio acquisito, dall’appartenenza ad una categoria professionale od ancora dallo svolgimento di una attività professionale, ma soprattutto dall’acquisizione di titoli, dallo svolgimento di percorsi di formazione specifici nella materia, da chi ha svolto pubblicazioni od attività di insegnamento. E’ nella sostanza non sufficiente dimostrare il “poter fare” ma occorre esprimere il “saper fare”, in quel determinato settore.

Il profilo di responsabilità riguarda la condotta del CTU successiva all’incarico conferito dal giudice. Tra i comportamenti sanzionabili vi sono:
rifiuto ingiustificato di prestare il proprio ufficio;
mancata comparizione all’udienza per il giuramento senza giustificato motivo;
mancato deposito della relazione nel termine assegnato, senza giustificato motivo;
mancato avviso alle parti dell’inizio delle operazioni peritali, aggravato dalla necessità del rinnovo della consulenza; negligenza o imperizia nell’espletamento dell’incarico.

Si è vero. Il consulente iscritto all’albo dei consulenti tecnici ha l’obbligo di accettare l’incarico, semprechè non sussistano motivi ostativi. Dette ragioni non sono soggettive ma regolate dal codice di procedura civile dall’art.51 relativi all’astensione del giudice e, ove non regolati, sono comunque rimessi al prudente apprezzamento del giudice; gli esperti non iscritti negli albi speciali dei tribunale hanno invece facoltà di rinunciare dall’incarico affidato; ciò perché chi è iscritto negli elenchi degli esperti ha manifestato attraverso la domanda di iscrizione la sua volontà ed intenzione di svolgere tali incarichi.

No. Per la istanza di ricusazione valgono i medesimi termini per quella di astensione ossia tre giorni prima della udienza di conferimento d’incarico. Dopo tale termine non è più possibile proporre la ricusazione del consulente ma “ possono soltanto essere prospettati al giudice al fine di una valutazione, a norma dell’art.196 c.p.c. dell’esistenza di gravi ragioni che giustifichino un provvedimento di sostituzione” (Cass.Sez.lavoro , 26 Marzo 1985 n°2125).

Si. Il consulente deve chiedere sempre l’autorizzazione del magistrato (in udienza o con separata istanza). Questo sia per le questioni legate alla liquidazione della competenze dell’ausilairio sia per quanto previsto dalle linee guida in materia di trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e periti di cui allla deliberazione n°46/2008.

Nella circostanza, è bene affermare, ancorché dotato dell’autorizzazione del giudice istruttore e della veste di pubblico ufficiale, l’esperto non può fare granché. Infatti, l’istituto dell’ inviolabilità del domicilio è sancito dall’art. 14 della Costituzione della Repubblica. Il consulente deve necessariamente sospendere le operazioni informando con una specifica istanza il giudice istruttore che disporrà in merito. Esempio della istanza è contenuto nel formulario disponibile nell’area riservata del sito.